Il banchiere, di Régis Jauffret
“In questo libro mi addentro in un crimine. Lo esamino, lo fotografo, lo filmo, lo registro, lo mixo, lo falsifico. Sono un romanziere, mento come un assassino. Non rispetto né i vivi né i morti né la loro reputazione né la morale. Non venite a parlarmi di morale. […] Non esiterei un istante a sgozzarvi se voi foste una frase che mi piace, buona da piazzare in una novella esile come il mio rimorso per avervi massacrato. Sono una brava persona, potreste affidarmi il gatto, ma la scrittura è un’arma di cui mi piace servirmi in mezzo alla folla”.
È una dichiarazione d’intenti, quella che firma Régis Jauffret nel preambolo de Il banchiere, un testo apparso in Italia per la prima volta nel 2011, e ripubblicato oggi da Edizioni Clichy, che riporta l’attenzione su un caso che in Francia ha fatto molto scalpore.
Nell’inverno del 2005 il finanziere francese Edouard Stern viene ucciso a colpi di pistola nella sua abitazione. La notizia di questa morte violenta fa il giro del mondo: Stern è un uomo ricco, potente e imparentato con l’alta borghesia, la sua scomparsa scuote gli animi, e forse fa tremare qualcuno.
A ucciderlo è stata Cécile Brossard, la sua amante – forse una prostituta -, che dopo una fuga a Sidney torna in patria e confessa il delitto maturato all’interno di una relazione sadomaso.
Jauffret riprende le fila di questa storia scabrosa e ne scrive un romanzo di non fiction dai toni ruvidi, proprio come dichiarato nel preambolo, che trascina il lettore in una zona buia popolata da ricatti, coercizioni, violenze e tradimenti.
La voce narrante è quella dell’amante, che in prima persona racconta la relazione col genio della finanza che le requisisce un milione di euro che lui stesso le ha donato.
“Mi aveva confiscato quella somma per costringermi a ucciderlo. Gli avevo obbedito. Quel milione di dollari era la statua d’oro che l’imperatore malato era pronto a offrire al samurai che avesse accettato di liberarlo dall’agonia con un colpo di sciabola”.
Entrambi – per motivi diversi – sono prigionieri di una vita che non li rappresenta, entrambi cercano di avvicinarsi il più possibile all’idea che hanno di loro stessi, ma più cercano l’autenticità più sprofondano nella menzogna.
Jauffret affida al romanzo quello che la realtà non può svelare e lo spinge i limiti del raccontabile. La narrazione è ricca di salti temporali che arricchiscono la storia di punti di osservazione sempre diversi, e questa è la parte più interessante perché l’autore stravolge quelli che dovrebbero essere i punti fermi.
Sì perché in una vicenda come questa i ruoli della vittima e del carnefice dovrebbero essere abbastanza chiari, ma il pensiero che sta alla base del libro e il modo in cui viene espresso impongono una riflessione: ci mettiamo sempre dalla parte della vittima, ma ci chiediamo mai com’è stare dalla parte del boia?
I piani ne Il banchiere si rovesciano in continuazione, e la grandezza della scrittura di Jauffret sta proprio in questo, nella capacità di infilarsi nella morbosità sospendendo il giudizio, e lasciando che il lettore arrivi alla verità, consapevole del fatto che nessuno possa avere la certezza che esista davvero, la verità. Perché “Solo gli animali sono autentici. Le persone non sanno mai esattamente cosa provano. Per vanità credono di assomigliare a qualcuno che li piace. Ma a questo qualcuno non sono degni neppure di allacciargli le scarpe”.
Jauffret, Régis, Il banchiere, Edizioni Clichy, 2018, traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio, pp. 160, euro 17,00
Régis Jauffret nasce a Marsiglia nel 1955.
Debutta come scrittore nel 1985 con Seule au milieu d’elle. Il primo successo arriva nel 1998 con Histoire d’amour. Nel 2003, con Univers, univers, che si aggiudica il Prix Décembre, e più ancora dopo il 2005, con Asiles de fous, che vince il Prix Fémina, Jauffret diventa una delle voci più importanti della letteratura francese contemporeanea.
Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo Microfictions (2007), Lacrimosa (2008), Claustria (2012), La ballade de Rikers Island (2014), Dark Paris Blues (Clichy, 2016), Cannibali (Finalista al Prix Goncourt 2016, edito in Italia da Clichy nel 2017), Microfictions 2018 (2018).