L’animale femmina, di Emanuela Canepa
Gli studi universitari che vanno a rilento, una relazione con un uomo sposato e un lavoro malpagato. Rosita vive così, in perenne bilico tra la determinazione, che sette anni prima l’ha spinta a lasciare il paesino del sud dove è nata per studiare a Padova, e la paura di non bastare a sé stessa.
È la vigilia di Natale quando conosce per caso l’avvocato Lepore, un uomo non più giovane che le chiede di lavorare part time come segretaria nel suo studio garantendole uno stipendio dignitoso e il tempo necessario per frequentare le lezioni a all’università. Qualcosa in Lepore non la convince del tutto, ma sceglie di ignorare l’inquietudine che prova e di seguire la prospettiva consolatoria di un cambiamento di vita.
L’animale femmina
Rosita si sente fuori luogo a partire da quando mette piede per la prima volta nello studio di Lepore e conosce la sua collega – la Callegari – una donna altera che dà evidentemente molta importanza alla sua immagine e che inizia subito a spiegarle le mansioni delle quali si dovrà occupare, non ultima quella di rivedere il suo abbigliamento decisamente dozzinale per il rango dei clienti coi quali dovrà interfacciarsi. Rosita accetta di buon grado di farsi prestare qualche vestito, e inaugura la nuova fase della sua esistenza che inizialmente sembra procedere senza troppi intoppi, ma che prende presto una piega inaspettata.
La ragazza non vede quasi mai Lepore, che sembra muoversi nelle stanze dello studio come uno spirito, ma ogni volta che lo incontra sente crescere in lei una forma di disagio data dal suo atteggiamento palesemente misogino. Ma c’è anche altro, non è solo l’approccio dell’avvocato a disturbarla, è qualcosa di più profondo, subdolo, qualcosa che le si insinua sottopelle e che la intrappola in un gioco psicologico di cui non comprende i confini.
Però la natura maschile è più lineare. L’uomo è un fesso abitudinario, meno incline a cercare assoluzioni sulla base del genere. le mie riserve sulle donne, invece, dipendono dal fatto che peccano avendo la pretesa di uscirne con la coscienza pulita. Questo le rende più interessanti. Più ridicole. E più perverse. Mi limito a prenderne atto.
Lepore è spietato nell’esibire il proprio pensiero, ma per quanto il suo atteggiamento umano e professionale sia lontano dall’etica di Rosita, la ragazza finisce per instaurare con lui un legame che rischia di diventare morboso, e che prende forma tra le pagine del romanzo.
Intenso e ferocemente verosimile, L’animale femmina è un libro che andrebbe letto non solo per la scrittura incisiva e piena, ma per la quantità di stimoli che genera scena dopo scena.
Sono molte le letture che si possono dare di questa storia, e quella della prepotenza del maschio verso la femmina è solo una e a mio parere nemmeno la più forte. Quello che mi ha colpito, ferito e commosso è stata la costruzione a doppio binario dei personaggi principali, che seguono ognuno una linea di genere ben precisa. Se la vita di Rosita è caratterizzata principalmente da presenze femminili – quella della madre invadente su tutte -, quella di Lepore è invece declinata quasi totalmente al maschile, e lo è da quando molti anni prima – lo sappiamo grazie a dei flashback -, un evento lo ha cambiato per sempre. Il modo in cui questi mondi dialogano, è la vera sorpresa del libro.
Canepa, Emanuela, L’animale femmina, Einaudi, 2018, pp. 260, euro 17,50
Emanuela Canepa è nata a Roma e vive a Padova, dove lavora come bibliotecaria. L’animale femmina (Einaudi 2018) è il suo romanzo d’esordio, con il quale ha vinto il Premio Calvino 2017. Tra le sue altre pubblicazioni: Insegnami la tempesta (Einaudi, 2020).