Joker, nelle sale il film di Todd Phillips
Ho visto Joker due giorni fa, e da allora penso insistentemente al concetto di compassione.
Joker è il pagliaccio che terrorizza Gotham City, l’antieroe in lotta perenne con Batman, il cattivo mosso da una follia irrefrenabile.
Ma chi era Joker, prima di diventare il burlone per antonomasia? A questa domanda risponde il film diretto da Todd Phillips, nelle sale italiane dallo scorso 3 ottobre. La pellicola, che ha vinto il Leone d’oro alla
76ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, racconta in modo del tutto indipendente da tutto ciò che è stato fino a oggi prodotto su questo personaggio, il percorso che porta Arthur Fleck a trasformarsi per l’appunto in Joker.
Arthur Fleck vive in un appartamento degradato di Gotham City insieme alla madre malata della quale si prende cura, ma ha a sua volta bisogno d’aiuto. L’uomo soffre infatti di una depressione latente che si unisce a un disturbo che gli provoca risate incontrollabili, per questo porta sempre con sé un biglietto che spiega che gli eccessi di ilarità dipendono da una malattia e che porge a chi, incontrandolo, rimane interdetto da questa sua particolarità.
Joker
Arthur vive in un mondo dove ci si deve scusare per una risata. Proprio lui, che la madre sostiene essere destinato a portare gioia e felicità. Proprio lui, che per racimolare qualche soldo si reinventa pagliaccio a chiamata, in attesa di sfondare come stand – up comedian.
Il sistema sembra respingerlo: il servizio di assistenza sociale che ce l’ha in cura viene sospeso per mancanza di fondi, e lui è in balia di sé stesso e dei suoi demoni. Eppure vorrebbe solo non stare più male, lo dice alla psicologa durante uno degli ultimi incontri. Vorrebbe solo smettere di stare male, ma consapevole del fatto che di questa sua situazione non importi a nessuno, comincia a creare un mondo tutto suo dove la sua essenza trova finalmente spazio, e assume le sembianze di un Joker.
La sceneggiatura del film è molto ricca, ma come dicevo in apertura è l’aspetto della compassione- intesa come il soffrire con – quello che, a mio parere, emerge con più forza dalla storia.
Compatire non significa giustificare ma comprendere, entrare in empatia con quello che le persone provano. Per due ore, durante la visione, ho pensato che ad Arthur mancasse proprio la compassione, e che se ce l’avesse avuta forse non avrebbe smesso di stare male, ma magari quel dolore sarebbe stato più facile da sopportare.
La pellicola trasmette molti messaggi diversi, e ognuno coglie quello che lo colpisce maggiormente. Io mi sono emozionata molto nel sentire il rumore della sofferenza, che somiglia a una risata. Sì, la risata incontrollabile è sofferenza vera, l’ossimoro di una condizione umana straziante.
Penso a questo film da due giorni, e credo che lo rivedrò. Il mio consiglio è di scegliere una proiezione il lingua originale perché il lavoro che Joacquin Phoenix fa sulla voce (e sul corpo) è straordinario.
Interpreti e personaggi |
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Joaquin Phoenix: Arthur Fleck / Joker Robert De Niro: Murray Franklin Zazie Beetz: Sophie Dumond Frances Conroy: Penny Fleck Brett Cullen: Thomas Wayne Glenn Fleshler: Randall Bill Camp: ispettore Garrity Shea Whigham: ispettore Burke Marc Maron: Gene Ufland Douglas Hodge: Alfred Pennyworth Leigh Gill: Gary Josh Pais: Hoyt Vaughn Brian Tyree Henry: Carl Dante Pereira-Olson: Bruce Wayne |