Una vita come tante, di Hanya Yanagihara
Una vita come tante poteva sembrare la storia semplice di quattro ragazzi che si incontrano ai tempi della scuola per non lasciarsi più.
Poteva sembrare un romanzo di formazione nel quale seguire la crescita di quattro giovani inconsapevoli di quanto le loro vite stessero generando, insieme, qualcosa di grande. Poteva sembrare un modo per raccontare la felicità. Ma la verità è che spezza il cuore perché il centro della narrazione è il dolore, sia esso inteso in senso fisico o emotivo.
Per una settimana, per mille pagine, questo libro è stato la mia estensione; l’ho portato ovunque, l’ho letto ovunque, in qualunque momento mi fosse possibile farlo, e mi è successa una cosa che non era mai capitata: ho pianto di fatica. Ho pianto perché mi è arrivata addosso la fatica di vivere, di sopravvivere e di amare dei personaggi cui ha dato vita Hanya Yanagihara.
Malcom, JB, Willem e Jude si incontrano al college. Malcom sogna di diventare architetto, viene da una famiglia molto ricca ed è in perenne bilico tra ciò che vorrebbe essere e ciò che ci si aspetta che diventi. JB è cresciuto in una famiglia di donne, è un artista dotato e nasconde le sue molte fragilità dietro una maschera di egoismo. Willem ha alle spalle una storia famigliare dolorosa, è un aspirante attore ed è bellissimo, e in attesa di fare carriera si mantiene facendo il cameriere. E poi c’è Jude, che studia legge e del cui passato nessuno sa niente anche se è direttamente da quel passato che sembrano arrivare i suoi problemi di deambulazione e le cicatrici che tenta di nascondere sotto lunghe maniche di camicia.
Una vita come tante
Il romanzo fa perno sulla storia di Jude, attraverso la quale si scoprono i caratteri distintivi dei suoi amici e di altri personaggi che intervengono nella trama – non posso smettere di pensare alla tenerezza di Harold, alla dedizione di Andy, alla discrezione di Julia -, e che è la fonte primaria della sofferenza di questa lettura. Non voglio dire di più sulla trama, che si snoda alternando una narrazione in prima e in terza persona, e che si srotola nel corso di molti anni nei quali succedono delle cose molto velocemente mentre altre sembrano rimanere immobili. Il romanzo in lingua originale si intitola A little life, e come rende bene questo titolo per una storia che a chi legge sembra immensa, ma che se calata nella moltitudine di esistenze dell’umanità smette purtroppo – non uso questo avverbio a caso – di essere straordinaria.
Non voglio dire di più sulla trama, appunto, e sento invece di voler fare delle considerazioni in ordine sparso su quello che mi è rimasto dopo questa esperienza di lettura.
Penso che l’attitudine di Jude, determinato nel portare all’esasperazione ogni rapporto per ritrovarsi in un terreno di sofferenza che lo ferisce, certo, ma che conosce e quindi è più facile da gestire rispetto all’incertezza di un terreno potenzialmente migliore, ma sconosciuto e quindi non controllabile, si avvicini a moltissimi atteggiamenti che ognuno di noi più o meno consapevolmente mette in atto ogni giorno.
Penso che convincersi di poter aiutare chi soffre provando a uscire dalle proprie categorie di pensiero sia sintomo di grande amore, e penso che riuscire a essere compassionevoli sia una delle esperienze più importanti che si possa fare nella vita.
Penso che provare a percepire sé stessi per come si è e non per come immaginiamo che gli altri ci vogliano – anche se può trattasi per l’appunto di un’immagine e non della realtà-, sia un viaggio importante, a prescindere da come finisce.
Penso che il dolore racchiuda molte verità, e che siano verità non giudicabili se non da chi le possiede. Penso anche che qualche volta le verità non siano così vere, e a volte si incontrino persone fondamentali per aiutare a capirlo.
Penso che l’amicizia sia un luogo bello dove stare, e penso che con alcune persone nascano degli incastri che diventa impossibile sciogliere.
Penso che non regalerei mai questo libro, perché riuscire a sostenerlo è una faccenda davvero privata. Penso però che ne parlerò tanto con chi legge, perché se si decide di abbracciarlo si resta coinvolti in molta vita.
Yanagihara, Hanya, Una vita come tante, Sellerio, 2016, traduzione di Luca Briasco, pp. 1104, euro 22,00
Hanya Yanagihara, scrittrice statunitense di origini hawaiane, ha pubblicato il suo primo romanzo, The People in the Trees, nel 2013. Ha scritto di viaggi per Traveler e collabora con il «New York Times Style Magazine». Una vita come tante, il suo secondo romanzo uscito nel marzo 2015, è stato un successo mondiale, vincitore del Kirkus Prize, finalista al National Book Award e al Booker Prize, tra i migliori libri dell’anno per il «New York Times», «The Guardian», «The Wall Street Journal», «Huffington Post», «The Times». In Italia è stato pubblicato da Sellerio nel 2016.
2 commenti
Giulia Berhane
Il problema di questo libro è il senso di amarezza che mi ha lasciato, che mi ha travolto in pieno. La consapevolezza di quanto sarà difficile un libro che sia all’altezza delle emozioni che mi ha lasciato “Una vita come tante”
Eva Massari
Anch’io quando l’ho concluso ho provato un senso di smarrimento e ho pensato che sarebbe stato difficile trovare altre storie. Per fortuna, però, le storie non finiscono mai.